“Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma. Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40)”.
Il richiamo del Papa è molto chiaro: chi fugge ed è in cammino alla ricerca della salvezza pone il credente davanti al dovere di accoglierlo.
L’accoglienza si concretizza nel modo più diretto tramite l’aprire la propria casa a chi è senza casa, a chi ha perso la propria abitazione e ogni sicurezza.
Per gli operatori sociali accogliere è almeno tutto questo, ma anche molto di più.
Chi lavora nei contesti in cui si manifesta il disagio ha infatti il dovere di accogliere in un significato più ampio, non riducibile alla richiesta diretta di persone in fuga, perché quasi sempre questa richiesta non ha ancora voce, non è direttamente manifesta e non ha la forza di un appello.
Le persone segnate da emarginazione hanno sempre perso tanto della propria vita, e perdendo le sicurezze hanno perso anche la fiducia e la volontà di cercare negli altri un sostegno: hanno rinunciato alla speranza e alla volontà di cambiare.
Il silenzio degli emarginati attuali (basta pensare alle nuove povertà) è la prima importante sfida per chi, nei quartieri e nei contesti sociali, si trova a dare concretezza all’appello del Papa e al richiamo etico che esso contiene; essere sensibili ai bisogni di quelli che non possono, non sanno o non vogliono più chiedere aiuto.
In questo senso i bambini sono per eccellenza quelli che presentano le maggiori vulnerabilità ed ai bambini si orienta la missione salesiana dalla propria fondazione. I bambini come coloro che non esprimono richieste, perché non hanno i sufficienti strumenti per avvertire le proprie difficoltà e perché naturalmente portati a sentirsi dipendenti e secondari rispetto ad un mondo adulto da cui devono apprendere a vivere.
I bambini sono coloro che hanno più bisogni, in quanto soggetti che rischiano di pagare per l’intera vita quei momenti in cui siano stati lasciati soli.
Ad Ancona si assiste ad una situazione nuova, evidenziata anche con i servizi sociali del Comune, che hanno segnalato alcune emergenze e con i quali si è condiviso condivisa un’analisi dei fabbisogni specifici del territorio e del particolare significato che assume adesso svolgere attività educative ad Ancona.
La crescita sana e sicura dei minori può essere vista come la responsabilità principale delle famiglie; nella fase storica attuale, lo sradicamento sociale dovuto all’immigrazione, la complessità di una società in cui domina internet e in cui si moltiplicano i rischi per i bambini, possono mettere in crisi la funzione genitoriale.
Le famiglie possono così sentirsi in difficoltà, impotenti e inadeguate, iniziando un percorso di esclusione che ha nei bambini le prime vittime.
Povertà materiale e culturale, isolamento, ghettizzazione, ambienti improntati alla violenza, producono come danno una perdita dei rapporti interni alla famiglia, lasciando i bambini senza riferimenti, emotivamente provati e facilmente attratti da gruppi di pari, spesso caratterizzati da comportamenti devianti.
Occorre quindi agire in un’ottica di prevenzione, laddove è possibile avere i maggiori risultati.
In tal senso, se le famiglie non riescono, la responsabilità ricade su tutta la comunità, con le sue risorse più sane, le persone più sensibili e attente ai problemi del proprio contesto e tutte le opportunità che possono essere da queste attivate.
In particolare, per la fascia 6-13 non esistono servizi o luoghi pronti a farsi carico di una complessità di bisogni emotivi ed educativi; le numerose esperienze confermano invece che si tratta di una fascia particolarmente importante e con la quale si possono ottenere i risultati più importanti.
L’appello del messaggio del Papa può essere accolto dai salesiani in Ancona rispetto alla propria “emergenza”: accogliere in un luogo protetto chi ha perso protezione, offrire una casa (educativa) a chi non ha più una casa o ha una situazione familiare fortemente segnata.
Il progetto Il Faro intende essere questo: il supporto momentaneo a chi ha perso i propri riferimenti, l’opportunità di ritrovare il proprio cammino e le proprie risorse.
Il Faro, come centro educativo diurno, si pone quindi non solo a protezione e educazione dei bambini emarginati ma a supporto dei genitori, come agente di attivazione di risorse implicite e volontà di miglioramento che le persone naturalmente posseggono (famiglie, volontari, operatori scolastici, altri educatori…).
La sostenibilità finanziaria ha delle ottime possibilità allo stesso tempo per il momento nessuna certezza.
La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura e la consapevolezza che da soli non riusciremo ne tantomeno sarebbe giusto. Pertanto chiediamo un aiuto per realizzare il CENTRO DIURNO “IL FARO”.