La comunità, secondo il modello educativo del Faro, è tra le più importanti esperienze di crescita per i bambini.
Abbiamo precedentemente descritto questo principio con un’immagine: non solo produrre buoni frutti da alberi sani, ma curare tutto il giardino perché sia bello.
Questo significa affermare che in ogni bambino non c’è solo il bisogno di poche figure di riferimento, come possono essere i familiari o gli educatori, ma esiste un bisogno altrettanto rilevante e spesso trascurato nella società di oggi, ovvero quello di far parte di una grande rete di amicizie e persone da scoprire.
Il nostro metodo educativo si basa sulla conoscenza di sé tramite esperienze: così come far parte di un gruppo ristretto ha consentito ai bambini di acquisire identità e sicurezze, entrare in un gruppo molto grande ha consentito loro di conoscere questo desiderio di appartenenza.
È quanto è avvenuto al Faro con le attività dell’Estate Ragazzi e si tratta di un passaggio di grande importanza e complessità, sia per i bambini, sia per gli operatori.
Perché è stato un passaggio complesso?
Perché l’esperienza educativa in un gruppo grande è molto diversa da quella del piccolo gruppo.
I mesi passati insieme ai bambini del Faro hanno permesso di consolidare un legame affettivo molto forte e principi educativi condivisi, che sono stati faticosamente sviluppati tramite un confronto continuo; in un certo senso erano i “nostri” bambini, e la vita quotidiana della nostra piccola “famiglia” è diventata una tranquilla e rassicurante routine.
Entrare in un universo molto più grande, fatto di oltre 130 bambini e decine di volontari/animatori ha comportato di ripensare profondamente la nostra proposta; il nostro piccolo gruppo è entrato in una comunità.
Cosa significa questo? Che abbiamo imparato ad impegnarci anche perché questa rete allargata fosse bella, accogliente e attenta, abbiamo dato spazio e affetto a questa nuova e più grande famiglia, abbiamo iniziato a sentire nostri anche altri bambini, e ad accettare che i bambini del Faro non fossero solo nostri.
La competenza principale riguarda proprio questo incontro con gli altri, con le loro emozioni, idee, attese, volontà. È la competenza a riconoscere nelle differenze delle opportunità e non degli ostacoli.
È questo l’elemento centrale della funzione educativa di cui stiamo parlando, ovvero la capacità di valorizzare le diverse idee, proposte, visioni; è un impegno facile a parole, molto meno facile in pratica.
In un gruppo, ogni visione diversa dalla nostra ci può toccare profondamente, come se vi fosse in gioco non solo la nostra idea, ma il nostro riconoscimento come persone, e questo può muovere emozioni molto intense. Per questo, spesso le differenze portano a forti contrasti o a litigi, in cui quello che conta è prevalere sull’altro, in cui si mette in atto una competizione personale e fine a se stessa per l’affermazione della propria posizione.
La nostra società, in particolare la degenerazione dello scontro, sembra costantemente rinforzare questa concezione dei rapporti, in cui contano l’autoaffermazione e la delegittimazione di chi ha idee diverse, in un conflitto in cui si vince se perde l’avversario, anche tramite attacchi personali.
Nella comunità salesiana ciò in cui ci stiamo impegnando, e che vogliamo i bambini apprendano, è che avere idee diverse può essere una grande risorsa, poiché tutti abbiamo un interesse comune, ovvero la bellezza dello stare insieme e dell’amicizia. Le differenti posizioni non sono sacrificate in nome di un’accondiscendenza finta, ma trovano spazio e interesse produttivo in un confronto in cui ogni proposta ha importanza ed ogni persona è valorizzata.
È la capacità di ascoltare le idee degli altri, trovarne gli aspetti utili, esplorarne le potenzialità, ma soprattutto di creare momenti di silenzio dentro noi stessi, in cui poter per un momento mettere da parte le nostre convinzioni.
È anche la capacità di chiedersi in ogni momento come si sentono le persone con cui ci rapportiamo, di comunicare che, oltre le differenze, contano i rapporti e il benessere, che molto più che l’affermazione personale, conta la gioia condivisa.
Questa capacità ha come risultato che le persone sono molto più contente, perché sentono di potere essere vere, anche se diverse, perché collaborano ad uno scopo comune. Sentono di appartenere ad una comunità la cui bellezza e vitalità dipende da ognuno e dai legami che uniscono.
In un giardino, se non viene curato, può capitare che alcune piante soffochino le altre, che crescano eccessivamente, in nome della propria affermazione; noi vorremmo che i bambini imparassero ad essere contenti solo se tutti lo sono, e che la condivisione e l’amicizia valgono molto più di qualsiasi successo personale.
Vorremmo che crescessero comprendendo quanto una importante parte del senso della vita sia proprio la rinuncia a qualcosa di sé per contribuire alla comunità, sia quella più ristretta, sia all’intera comunità umana e vorremmo che questa comprensione passasse tramite la diretta e profonda esperienza emotiva, perché li accompagni anche in futuro.